L’anno del ratto, la storia del giornalista che ha smascherato la nuova destra suprematista

Come Harry Shukman si è infiltrato in una rete di organizzazioni estremiste legate da razzismo, scienza e miliardari della Silicon Valley.

L’estrema destra non ha più il volto con cui l'abbiamo conosciuta in passato. Da tempo ha abbandonato l’immaginario aggressivo e vistoso che ne ha segnato la storia. Al posto delle svastiche ci sono giacche e cravatte, discorsi forbiti e profili professionali su LinkedIn. 

Per vincere la loro propaganda bisogna vedere dall’interno cosa si nasconde dietro questi movimenti estremisti. Come ha fatto Harry Shukman, un giornalista britannico che si è infiltrato nella nuova estrema destra inglese, mentre lavorava con l’organizzazione antifascista e antirazzista Hope Not Hate.

Da questa infiltrazione è stata tratta una serie di inchieste multimediali, un documentario, Exposing the Far Right, prodotto da Channel 4, e anche un libro, Year of the Rat, l’Anno del ratto appunto. Ma quello che questo giornalista ha scoperto va molto al di là di quello che ci si poteva immaginare.

Gli abbiamo chiesto di raccontarcelo in esclusiva per i lettori della nostra newsletter e se volete potete ascoltarlo anche dalla sua viva voce nel nuovo episodio di Debrief – The Undercover Podcast.

Questo numero è scritto da Luigi ed editato da Sacha.

La nuova maschera della vecchia destra

Seduto al tavolo di un pub della provincia inglese, Charlie, leader di un gruppo suprematista bianco, si rivolge con fare minaccioso a Chris, un ragazzo che ha davanti a sé: “Meglio per te che tu non sia un infiltrato di Hope Not Hate”. 

Sul tavolo cala il gelo. Charlie continua a fissare Chris dritto negli occhi, cercando un’esitazione, un segnale, forse. Poi scoppia a ridere, e gli altri, seduti al tavolo assieme ai due, si accodano. Solo a quel punto Chris si lascia andare al gioco: “Mi hanno scoperto! Fatemi uscire di qui!”, ironizza.

Il punto è che quello che tutti in quel pub chiamano Chris è in realtà Harry Shukman, un giornalista e ricercatore proprio dell’associazione anti fascista e anti razzista Hope Not Hate, ed è lì per documentare sotto copertura i piani e le azioni di quel movimento.

Harry si prepara a partecipare a un incontro per conto di Hope Not Hate con il suo alias, “Chris” | Channel 4

In un anno finirà per entrare in nove gruppi in totale: partiti, circoli negazionisti, organizzazioni che si presentavano come centri di ricerca ma il cui obiettivo era dimostrare – con presunte basi scientifiche – l’inferiorità genetica delle persone non bianche. 

Scoprendo, alla fine, che uno di questi gruppi era finanziato addirittura da un magnate della Silicon Valley, Andrew Conru, un imprenditore americano fondatore di diverse aziende tecnologiche, tra cui la più nota è sicuramente Adult Friend Finder, un sito di incontri specializzato in appuntamenti casuali, scambi di coppia ed esperienze erotiche che vale centinaia di milioni di dollari.

Era il 2023, e l’estrema destra non si vestiva ormai più da estrema destra. Parlava bene, frequentava università d’élite, cercava fondi, pensava a lungo termine. E Harry era lì per documentarlo da vicino.

Hope Not Hate

Hope Not Hate è un’organizzazione antifascista nata nel 2004 nel Regno Unito con l’obiettivo di contrastare l’estrema destra in Gran Bretagna, ma nel tempo si è trasformata in una macchina investigativa vera e propria.

Oltre a campagne pubbliche e contro-narrazioni sociali, HNH ha costruito una rete di informatori e ricercatori, anche provenienti dagli ambienti che vuole smascherare. Infiltrati, ex militanti, giornalisti undercover. 

A questa strategia affianca un lavoro di analisi e monitoraggio digitale. Pubblicano ogni anno un report, chiamato State of Hate, in cui vengono mappati gruppi, nomi, ideologie e finanziamenti dell’estrema destra britannica.

La copertina dell’ultimo report di Hope Not Hate

Nel 2017, HNH ha sventato un attentato contro la deputata laburista Rosie Cooper, pianificato da un militante del gruppo neonazista National Action. L’attacco è stato evitato grazie alla collaborazione di un ex membro del gruppo divenuto informatore per Hope Not Hate. Dopo di allora, National Action è stata dichiarata fuorilegge. 

Ma alla base del loro lavoro c’è anche il costruire anticorpi culturali. HNH non si limita a denunciare: entra nelle scuole per spiegare come l’odio si diffonde e viene utilizzato a livello politico.

Le teorie razziali e la Silicon Valley 

“La cosa che mi ha sorpreso di più – mi ha detto Harry – è che non tutte le persone che si potrebbero definire di estrema destra sono skinhead con le svastiche tatuate. Magari non si vestono come nazisti, ma potrebbero avere le stesse idee. Ci sono sicuramente gruppi di attivismo di strada, forse più familiari a molti lettori, ma c’è anche una proliferazione di organizzazioni che si presentano in modo diverso, parlano in modo più forbito. Hanno legami con soldi e potere, e promuovono lo stesso tipo di abusi, ma con un livello di sofisticazione molto più alto.”

Tra questi abusi c’è sicurante il razzismo scientifico. Quando parliamo di questo termine pensiamo immediatamente all’Eugenetica, all'antropometria, alla craniometria e altre pseudo-discipline che sono state messe al bando nell’ultimo secolo. Eppure è più vivo che mai. Nell’inchiesta “Race Science Inc.” che parte dell'infiltrazione di Harry Shukman, viene svelata l’esistenza di una rete di think tank, fondazioni private e pubblicazioni accademiche che promuovono la cosiddetta “scienza della diversità umana”.

“Non è una teoria marginale. Ha un grande richiamo nel mainstream. Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo, ricondivide regolarmente contenuti di scienziati della razza. Abbiamo trovato prove di politici britannici che sostengono questo tipo di idee.”

Uno dei gruppi infiltrati da Shukman è la Human Diversity Foundation. Un mix tra un culto settario e un think tank per giovani milionari. Il loro obiettivo è reclutare uomini soli e benestanti, radicalizzarli e raccoglierne i soldi. Tanto che per riuscire a entrare nelle loro grazie e convincerli a rivelare i loro piani, Harry a un certo punto ha dovuto usare un personaggio leggermente diverse da quello che interpretava di solito.

Il momento in cui Harry ha scoperto il funzionamento della Human Diversity Foundation | Hope Not Hate

“Nessuno voleva parlare con me perché sembravo un tizio noioso in giacca e cravatta. Così ci è venuta un’idea: non cambiare radicalmente il personaggio che stavo interpretando, ma solo ritoccarlo un po’. Avevo sempre lo stesso lavoro, ma nella mia storia avevo appena ricevuto una grossa eredità. Quindi avevo molti soldi e potevo investirli in progetti che mi interessavano. Abbiamo scoperto che questo apriva davvero molte porte. Penso che, se guardi molte delle inchieste sotto copertura di maggior successo degli ultimi anni, c’è quasi sempre di mezzo il denaro.” E infatti ha funzionato. 

Grazie a questa infiltrazione Hope Not Hate ha scoperto chi si nascondeva dietro l’organizzazione: Andrew Conru, imprenditore della Silicon Valley, diventato finanziatore occulto dell’organizzazione.

Il Debrief, dove tutto si ricompone

“I debrief non avvengono mai in posti glamour. Lo sai”, dice Harry, parlando di quelle epifanie che accadono durante un’inchiesta. Avvengono nei taxi, nei corridoi di alberghi anonimi, nelle cucine in disordine, in redazione, di notte, mentre tutti gli altri dormono. È lì che i fili si riannodano, che i dettagli che sembravano insignificanti si illuminano di senso e si cerca di capire che cosa è appena successo, cosa abbiamo davvero documentato. 

È proprio in uno di questi momenti, di notte, su un’auto in movimento, che Harry realizza una delle scoperte più importanti dell’intera inchiesta: la Human Diversity Foundation, l’organizzazione in cui si era infiltrato fingendosi un ricco ereditiero, non era un nuovo gruppo radicale, ma la reincarnazione di un gruppo già esistente: il Pioneer Fund, un’organizzazione eugenetica fondata negli anni Trenta, il cuore nero della race science americana. 

Uno dei tasselli dell’inchiesta | Hope Not Hate

È un passaggio silenzioso, ma definitivo. Quelle che propugnavano non erano idee sconosciute. L’organizzazione stava tentando di fare ritornare in maniera strutturata un’ideologia pericolosa che la storia aveva dimenticato con nuovi strumenti, nuove facce, e molti soldi.

“Non avremmo alcune delle storie più importanti del XIX, XX e – si spera – XXI secolo senza questo tipo di giornalismo”, mi ha detto Harry Shukman parlando del giornalismo undercover. “Mi piacerebbe vederne di più”, ha aggiunto. Ed è anche per accontentare questa richiesta che ogni settimana, noi torneremo con una storia del genere. 

Se ti è piaciuto questo numero giralo a chi pensi possa essere interessato. Continueremo a muoverci un po’ così, quasi nell’ombra. 

Al prossimo debrief,
Sacha & Luigi

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