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Valeva la pena spendere quasi 1 milione di dollari per spiare degli studenti?
Quando l’undercover non indaga il potere, ma lo serve: il caso che ha trasformato l’Università del Michigan in un laboratorio di repressione.
Tra tutte le cose che stanno accadendo in questi giorni negli Stati Uniti, questa notizia è passata un po’ in sordina. Eppure, per chi si occupa di inchieste sotto copertura, racconta in modo piuttosto esplicativo cosa accade quando uno strumento pensato per indagare il potere viene invece usato dal potere per reprimere il dissenso.
L’undercover è un metodo molto potente. Nelle mani dei giornalisti o degli attivisti, può servire a smascherare abusi e squilibri di potere: è un metodo “bottom-up” per raccontare ciò che il potere vorrebbe nascondere. Ma se adottato dalle istituzioni per controllare i cittadini – soprattutto quelli più giovani e politicizzati – si trasforma in qualcosa di radicalmente diverso: un’arma “top-down” usata per intimidire, normalizzare la sorveglianza e spegnere il conflitto sociale.
È proprio questo il nodo al centro dello scandalo che ha investito l’Università del Michigan, dove il Guardian ha rivelato che l'ateneo ha speso quasi 900.000 dollari per assumere investigatori privati per infiltrarsi sotto copertura tra gli studenti e attivisti pro Palestina. Per oltre un anno, agenti sotto copertura hanno seguito questi studenti dentro e fuori dal campus, registrando video di nascosto e ascoltando le loro conversazioni nelle biblioteche, nei bar, nei pub.
Non hanno scoperto nulla, se non le abitudini quotidiane di un gruppo di studenti e attivisti impegnati nel sostegno alla causa palestinese. L’indagine – o meglio, la rivelazione della sua esistenza – ha sollevato un polverone ed è stata criticata come un tentativo di minare la libertà di espressione. Molti attivisti hanno raccontato di essersi sentiti osservati, intimiditi, dissuasi dal partecipare a riunioni e manifestazioni.
Dopo l’esplosione del caso, il presidente ad interim dell’università ha annunciato la rescissione del contratto con la società City Shield, a cui era stata commissionata l’indagine, promettendo la fine di ogni forma di sicurezza “in borghese” sul campus. Ma per molti membri della comunità universitaria, quel gesto ha dato adito a molte più domande.
Come è potuto partire un progetto del genere? Chi ha autorizzato una spesa così elevata, e per quale scopo preciso? In questo numero, proviamo a ricostruire cosa è successo. Raccontiamo cosa hanno fatto davvero quegli agenti, che implicazioni legali e costituzionali ha avuto tutto questo, e qual è stato – fino ad ora – il prezzo umano pagato da chi è stato sorvegliato.
Questo numero di Debrief è scritto da Sacha, ed editato da Luigi.
In questo numero di Debrief:
L’armata Brancaleone del Michigan
Gli agenti, dipendenti di una società di sicurezza con sede a Detroit chiamata City Shield, vennero assoldati dall’università pubblica del Michigan nel 2023 con il compito di mimetizzarsi nell'ambiente del campus, tenendo sotto stretta sorveglianza i membri dei gruppi studenteschi che sostenevano la causa palestinese. Ma fin da quando l’indagine undercover è iniziata, l'operazione è apparsa surreale.
Ad Ann Arbor, la città universitaria del Midwest dove ha sede l’Università e che storicamente è associata all’attivismo progressista e ai movimenti studenteschi, squadre di agenti pedinavano gli studenti per le strade, spesso lavorando in coppia o in gruppo.
“Stavano monitorando gli studenti per vedere dove andavano, con chi si incontravano. Osservavano alcune delle attività di protesta, cercando di identificare chi fosse coinvolto e creando liste di persone da tenere sotto controllo — sia per eventuali procedimenti amministrativi all’interno dell’università, sia per condividerle con le forze dell’ordine. Era semplicemente raccolta di informazioni. Questo è quello che stavano facendo,” ha raccontato a Debrief Amir Makled, l’avvocato difensore che rappresenta diversi studenti e attivisti oggetto di quest’indagine.
Con il passare dei mesi, gli studenti hanno iniziato a notare la sorveglianza. C’erano degli sconosciuti che si sedevano ai tavoli accanto ai loro e ascoltavano le loro conversazioni private, o si attardavano per aspettarli al termine delle riunioni e degli eventi del campus. Alcuni agenti seguivano gli studenti fino a casa o sorvegliavano i luoghi che frequentavano.
“Le agenzie investigative private assunte dall’Università del Michigan non erano molto professionali. Era chiaro che questi tipi erano dei dilettanti nel modo in cui conducevano la sorveglianza. Gli studenti hanno iniziato a notarli, a chiedersi cosa ci facessero lì — e alcuni li hanno persino affrontati direttamente,” ha detto Makled.
Un caso emblematico è quello di Josiah Walker, studente dell'ultimo anno: aveva il sospetto di essere seguito dagli stessi individui, e quindi ha tirato fuori il telefono per immortalarne uno. L'agente, colto alla sprovvista, ha prima finto di zoppicare e di essere “mentalmente disturbato”, poi ha improvvisamente cambiato tattica. Nel video si vede l'uomo accusare lo studente di avergli rubato il portafoglio e di averlo minacciato.
Due settimane dopo, Walker ha incontrato di nuovo lo stesso agente. Questa volta, incredibilmente, l'uomo ha fatto finta di essere sordo e muto quando è stato avvicinato, per poi iniziare a urlare pochi istanti dopo. “È stato un gesto straordinariamente razzista... ed estremamente discriminatorio”, ha detto Walker a CBS News, a proposito dell’uso del pretesto della finta disabilità.
Un altro studente ha raccontato come un'auto in borghese abbia accelerato verso di lui in un parcheggio del campus, costringendolo a saltare di lato. In seguito ha scoperto che molto probabilmente il conducente era uno degli agenti sotto copertura.
Affiggi un volantino, finisci in carcere
“A un certo livello a volte sembra anche comico per quanto è assurdo”, ha detto al Guardian Katarina Keating, una studentessa laureata che veniva seguita regolarmente: “L’università ha speso milioni di dollari per assumere dei teppisti che seguissero gli attivisti del campus. È davvero uno spreco di soldi e di tempo”. Ma ha subito aggiunto che in realtà l'esperienza l'ha costretta a guardarsi continuamente alle spalle, rendendo difficile trovare divertente una situazione in cui era la sua vita a essere sotto esame.
In effetti, l'intimidazione sembra essere stata una caratteristica centrale dell'operazione. Gli agenti sotto copertura non interagivano in maniera naturale con gli studenti e non si limitavano nemmeno a osservare in silenzio, ma spesso molestavano quelli che pedinavano, lanciando insulti, cercando di provocare litigi e creando pretesti per denunciarli per comportamento scorretto.
I video e i rapporti di City Shield sono stati condivisi con la polizia del campus e con i pubblici ministeri che li hanno utilizzati in procedimenti disciplinari e persino in casi penali. Durante una protesta alla fine del 2024, uno studente attivista – Henry MacKeen-Shapiro – è stato arrestato e incarcerato per breve tempo dopo che un agente ha sostenuto che aveva violato un divieto dell’università, affiggendo volantini nel campus. (Lo studente ha negato ogni illecito, ma ha comunque trascorso quattro giorni in carcere prima che la presunta violazione fosse archiviata).
L’avvocato dello studente ci ha confermato che le prove raccolte dagli investigatori privati sono effettivamente state utilizzate per colpire alcuni dei suoi assistiti. L’accusa rivolta allo studente era di essere rimasto sul campus tra due lezioni, appendendo volantini a sostegno della causa palestinese. “Uno degli studenti che rappresentavamo era rimasto sul campus tra una lezione e l’altra per appendere dei volantini… e questo è stato considerato una violazione,” ha spiegato Makland, sottolineando che la segnalazione arrivava direttamente dagli agenti sotto copertura assunti dall’università.
Queste erano la natura delle violazioni rilevate da un’operazione di sorveglianza costata quasi un milione di dollari.
Un manuale della violazione dei diritti
“La mia università non ha alcun motivo per fare una cosa del genere… non è così che dovremmo comportarci,” ha scritto Sam Bagenstos, professore di diritto all'Università del Michigan ed ex funzionario del Dipartimento di Giustizia, commentando lo scandalo.
“Sono un'istituzione che dice di difendere la libertà di parola e la libertà accademica… eppure stanno usando strumenti per cercare di reprimere la libertà di espressione dei propri studenti, ed è estremamente inappropriato,” ha detto l’avvocato Amir Makled, definendo il monitoraggio segreto degli attivisti pro-Palestina una “violazione fondamentale” dei valori dichiarati dall’Università del Michigan.
Lindsie Rank, direttrice per i diritti studenteschi alla Foundation for Individual Rights and Expression (FIRE), ha osservato che l’uso di investigatori privati in questo modo è praticamente inaudito in ambito universitario. “Di certo non è la cosa migliore per una cultura della libertà di espressione all’interno del campus… Crea un effetto dissuasivo,” ha dichiarato Rank, commentando le ripercussioni che operazioni simili possono avere anche su chi non è direttamente coinvolto.
Secondo numerosi esperti legali, le azioni dell’università potrebbero aver oltrepassato i limiti costituzionali, sollevando gravi questioni relative al Primo Emendamento (la libertà di parola e di opinione) e al Quarto (che protegge da perquisizioni e sequestri irragionevoli).
Normalmente, la polizia ha bisogno di un mandato per effettuare una sorveglianza prolungata o raccogliere determinate prove. Ma l’amministrazione dell’Università del Michigan, pur non essendo un’autorità di polizia, ha affidato il compito a una società privata. Secondo Makled, è possibile che l’università abbia cercato di aggirare le tutele costituzionali usando contractor esterni come “surrogato” della polizia.
Makled non ha dubbi: “Queste sono tattiche inappropriate… Se la sorveglianza è stata condotta in coordinamento con le forze dell’ordine, allora potrebbero aver violato il Quarto Emendamento.”
In almeno un caso documentato, una bodycam di un agente della polizia universitaria ha ripreso una chat sul suo telefono denominata “U-M intel”, utilizzata dagli investigatori per condividere video e informazioni sugli studenti. Questo implica un coordinamento in tempo reale tra agenti privati e forze dell’ordine.
Ma l’aspetto più controverso arriva con i raid di aprile 2025: all’alba del 23 aprile, agenti dell’FBI, polizia del Michigan e funzionari dell’ufficio della procuratrice generale Dana Nessel hanno fatto irruzione in almeno cinque abitazioni di attivisti. Le incursioni, avvenute con veicoli civetta, si sono concluse con il sequestro di dispositivi elettronici e l’interrogatorio di sei studenti. Secondo le testimonianze, i mandati esibiti – richiesti dall’ufficio di Nessel – erano estremamente vaghi e non specificavano con chiarezza i presunti crimini. Le autorità hanno parlato genericamente di “atti di vandalismo su più giurisdizioni”, ma nessuna accusa formale è stata poi depositata.
Molte associazioni, tra cui MPAC e CAIR Michigan, hanno denunciato l’episodio come una grave violazione del diritto alla privacy e alla libertà di espressione, accusando lo Stato di voler intimidire chi manifesta per la Palestina. Anche il New York Times, in un editoriale, ha definito l’operazione “una sproporzionata risposta securitaria verso studenti che esercitavano un diritto costituzionale”.
Il costo umano per gli studenti
Per gli studenti coinvolti, l’essere seguiti da sconosciuti, fotografati e persino provocati in pubblico ha avuto un impatto psicologico forte. “Il mio terzo anno è stato caratterizzato dalla paura e dalla paranoia”, ha raccontato Josiah Walker a CBS. Descrive di come scrutasse ogni folla, ogni stanza, cercando volti familiari per capire se fosse di nuovo seguito.
Alcuni suoi compagni hanno adottato tattiche di “controsorveglianza”: scattavano foto agli sconosciuti che li pedinavano, li filmavano, cercavano di identificarli sui social. Tutto questo per tentare di riprendere il controllo sulla propria quotidianità. “Non si aspettavano di essere spiati dalla loro stessa università”, ha detto Makled. “E sembra che questo sia stato un grave tradimento della fiducia. Si sentono osservati... e questo non è giusto.”
Molti studenti hanno riferito di sentirsi ancora oggi insicuri sul campus, di modificare i loro percorsi giornalieri, o di evitare eventi pubblici. Il Diag – la storica piazza centrale dell’università, simbolo di proteste studentesche fin dai tempi del Vietnam – è diventato per alcuni un luogo di ansia, invece che di confronto.
Anche studenti non direttamente coinvolti nelle proteste hanno espresso preoccupazione: se l’università ha sorvegliato un gruppo per le sue opinioni politiche, cosa impedisce che lo faccia di nuovo, con altri?
Michigan, quante sorprese
Già diversi anni fa, il Michigan era stato teatro di uno scandalo legato alla sorveglianza sotto copertura: quello della University of Farmington. Tra il 2016 e il 2019, il Dipartimento della Sicurezza Interna degli Stati Uniti (DHS) aveva creato dal nulla un’università fittizia – con tanto di sito web, indirizzo a Detroit e un’apparente struttura amministrativa – allo scopo di attirare studenti internazionali sospettati di violare le condizioni dei loro visti.
Il progetto, presentato come una strategia per combattere le cosiddette frodi “pay-to-stay” (ossia studenti che si iscrivono a università poco attive o inesistenti solo per mantenere legalmente il loro status di visto, senza frequentare davvero i corsi), si è trasformato in una trappola federale.
Circa 600 studenti stranieri si sono iscritti credendo che la Farmington fosse una scuola accreditata. Molti di loro – soprattutto dall’India – hanno pagato migliaia di dollari di rette, per un totale di oltre 6 milioni di dollari, ignari del fatto che si trattava di una messinscena orchestrata dal governo.
Nel 2019, quando il piano è stato smascherato, 161 studenti sono stati arrestati per violazioni legate all’immigrazione. Alcuni si erano persino recati fisicamente al presunto campus, chiedendo quando sarebbero iniziate le lezioni. In risposta, il governo indiano ha presentato formali proteste diplomatiche, e numerose organizzazioni civili americane hanno accusato il DHS di istigazione a delinquere: avevano adescato persone in buona fede per poi criminalizzarle.
I parallelismi con lo scandalo di Ann Arbor sono impressionanti. In entrambi i casi, autorità statali o federali si sono finte istituzioni educative o garanti della sicurezza accademica, con l’obiettivo non di proteggere, ma di controllare, colpire e sorvegliare. In entrambi i casi, a essere tradita è stata la fiducia – quella degli studenti verso le istituzioni che dovrebbero accoglierli, non ingannarli.
E se stesse accadendo anche nella tua città?
Il caso Michigan, per quanto unico, non è isolato. “Penso che siano state usate tattiche simili alla Columbia, alla NYU e alla UCLA,” ci ha detto Amir Makled. E in effetti, in diversi campus statunitensi – da New York a Los Angeles – sono emersi casi di sorveglianza, dossieraggio, infiltrazioni e repressione mirata contro studenti politicamente attivi, soprattutto se pro-Palestina. In un’epoca di crescente tensione geopolitica e polarizzazione interna, lo spazio di dissenso nei campus sembra ridursi giorno dopo giorno.
Che si tratti di polizia che si infiltra tra i manifestanti, software che monitora i social degli studenti o private contractors con microcamere nascoste tra gli zaini, il trend è chiaro: più sorveglianza, meno agibilità. Ma se la libertà accademica non è difesa proprio dentro le università, dove potrà mai esserlo?
Noi ci vediamo al prossimo Debrief,
Luigi e Sacha
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